venerdì 31 agosto 2012

Lieto evento


NOMSA MAKONA (ZW00801291)



Mi è nata con la posta, appena stamattina

e già mi guarda incerta, incuriosita

il mento nel petto e un poco insospettita

con quelle perle nere lustre conficcate

nello smagliante bianco madreperla

nel viso bruno, ognuna pare una stella.

Un vestitino vecchio, certo non suo

e braghe troppo lunghe, venute di lontano

calza scarpe slacciate, grandi, d'altri mondi

a segnare distanze che non son mai grandi.

M'immagino cammini vispa speranzosa

come una mini Charlot caracollante

in abito da dignitoso mendicante, così

la stringo nel cuore commosso, affezionato

spero vada verso un orizzonte alfine chiaro.

Ci metto una briccica, per vederlo realizzato.




mercoledì 29 agosto 2012

Arabeschi d'oro con le mani




Alzato il silenzio

sul talamo d'affetti

che talvolta testimonia

giocosa allegria sensuale

ci sospiriamo ardore sulla bocca

le labbra si carezzano, mimano morsi

stretti nell'abbraccio i corpi cercano

a memoria, erotiche parti di contatto.

Le mani contano i pori della pelle

lente scendono a ricamare con le dita

lievi arabeschi d'oro, sui nostri sessi.

lunedì 27 agosto 2012

Quando tra i tuoi fianchi






Quando tra i tuoi fianchi

trovai la calma che cercavo

mi dissi alfine son giunto

ma già era ora di andare.

Non mi bastò e ancora

non mi basta solo godere

ho sempre una voglia feroce

di sapere, provare cosa soffre

chi sempre fruga nuove strade

ignote come e dove finiranno

la schiena si curva, la vita è cercare.



sabato 25 agosto 2012

A chi canta il poeta di ora




Ha senso quel che scrivo

in questo tempo forsennato

o è solo pratica omeopatica

come un libro da strenna

che brilla soltanto per la copertina.

Se a quelli che hanno meno fiato

il mio canto arriva flebile, superfluo

a chi sto partecipando il mio sentire

e che ne farà chi non ha udito?

Appena un verso, anche uno solo

vorrei cadesse e solo per un giorno

intra di quei” che come me sperano

che il mondo diventi un posto condiviso

dove liberi pensare un vivere felice

e tutti vivere felici di sognare.

mercoledì 22 agosto 2012

Ama le gerbere, perdutamente


Sono comunissime, le Gerbere e, forse, lo sono sempre state, ma danno l'impressione di aver invaso questo paese, ad un certo momento, forse per motivi commerciali, come è avvenuto con i tulipani. Nella coltivazione in campo aperto, ma anche in serra, come per i tulipani appunto, sono uno spettacolo cromatico mozzafiato: colori e toni, quasi infiniti; e quella apparente perfezione della forma, tutte uguali, bellissime da sembrare finte, più di quelle finte, che insieme al fatto di non profumare, le fanno sembrare aliene.
Poteva avere tredici anni.
Era venuta su con l'acre odore dell'unghia bruciata nelle narici, suo padre faceva il maniscalco, e la famiglia alloggiava nel retrobottega: d'inverno era utile il calore emanato dalla forgia. Sin da piccolissima, esibì una peculiare mania: odorare tutto, fiori e altro, seguendo col naso all'aria, ogni profumo che si spargeva intorno o che il vento le portava.
Era affetta da una non grave forma della sindrome di Down, e la tipica fisionomia non era eclatante, quindi Serafina poté, nonostante l'imbarazzo mai ammesso dai suoi, crescere nella comunità, accettata senza tanti limiti, che ne aveva, naturalmente.
In quel tempo, sue padre assunse un garzone, un ragazzo magro con la fisionomia mongola, figlio di parenti alla lontana, con dei limiti intellettivi, anche lui, ma perfettamente in grado di fare lavori manuali, anche non semplicissimi. Aveva circa diciotto anni e come noto, quando ci sia quella sindrome, possono sembrare infantili anche se adulti. Lui, al contrario, sembrava troppo adulto, per l'età che aveva e gli insegnarono a radersi spesso, per apparire più giovane. Usava una lozione dopobarba profumatissima.
Questo fu un irresistibile invito per il naso di Serafina. Difatti non perdeva occasione per annusarlo, ridendone con lui e i genitori della ragazzina, trovarono la compagnia di Giacomino, sempre diminutivi per queste anime, utile alla crescita più equilibrata per lei, che non aveva fratelli né amicizie infantili. Nei rari momenti di pausa di lui, giocavano rumorosamente anche a dispetto dei richiami dei genitori di lei. Giochi infantili, fraterni, si dissero.
Una mattina Giacomino portò a Serafina una gerbera viola, strappata dal giardinetto di sua madre, e siccome lei l'annusò facendo una espressione delusa, lui trasse di tasca la boccetta del dopobarba che portava sempre con se e ne fece cadere alcune gocce sulla corolla del fiore. Lei corse via estasiata. L'interazione divenne sempre più stretta, lui si tratteneva oltre l'orario di lavoro. Andavano a sedersi sotto un grande fico a chiacchierare.
Ad un anno di distanza, la madre di Serafina, di ritorno dall'ambulatorio dove periodicamente la portava per i controlli, sconvolta e con gli occhi gonfi di un evidente lunghissimo pianto, condusse il marito sotto la ficaia e gli rivelò quello che il medico le aveva rivelato: Serafina era incinta. L'uomo, fuori di se, con il manico di un badile, ridusse Giacomino un ecce homo e lui, senza capire, si lasciò picchiare a sangue. Lasciò la bottega solo spinto via dalla madre della ragazza, che temeva il peggio.
Con l'allontanamento di Giacomino, Serafina ebbe un crollo nervoso, andò in paranoia, abortì e fu presto impossibile tenerla a casa. Venne ricoverata in un istituto apposito.
Ora passeggia nella calma dei farmaci, lungo i cortili di quella grande villa ottocentesca destinata a nosocomio. Stringe sempre in mano una gerbera finta color viola, sulla cui corolla tenta di far cadere inesistenti gocce di dopobarba da quella boccetta che lui le aveva regalato. L'annusa e sorride...sorride...sorride

martedì 21 agosto 2012

Ua vita abbottonata


Abbottono sempre più stretta, questa vita
intorno all'anima da tanto infreddolita
che ogni sogno s'è spento nel cam(m)ino
da quando i primi inverni attraversati
consumarono il ceppo di speranze preparato.
Di gelo in gelo s'è fatta dura la corteccia
il vento dei patimenti arriva meno forte
e fo come la mareggiata con gli scogli
sormonto, sommergo, e corro verso riva
per spegnermi in una pace che viene naturale.
Tengo strette quelle rare infime emozioni
che, alle volte, baluginano d'improvviso e
apro appena un lembo del pastrano
mi rischiaro dentro, anche solo un tanto
quanto vale la pena, per non voler morire.


lunedì 20 agosto 2012

Ci conto (tu che non sei viva)


Se mi desto spaventato
sorridimi
se abbasso gli occhi
guardami
se fisso altrove, verso nulla
baciami
se appaio assorto
toccami
se impallidisco e tremo
abbracciami
se parrà che voglia andare
trattienimi
se metto in fila i ricordi per contarli
portami via.

venerdì 10 agosto 2012

La vecchia panchina al belvedere


La volta grigia del cielo, specchiandosi sul mare, gli regala quel tono di blu piombo, che esalta i pennacchi di spuma bianca, quando si arrampicano sulla cresta delle onde, spandendosi poi sulla riva acciottolata e contro la scogliera. Pare abbia un profumo diverso, il mare, quando è grigio, più salmastro, forse a causa della maggiore umidità sospesa, è più...marittimo. Lo sanno i tamerici, che ne bevono, nelle notti d'estate, e lo rendono in gocce, il mattino dopo, con un sentore in più, di resina.
I cespugli colorati di oleandro, ci si bagnano e mantengono il fogliame sempreverde.
Eppoi fa meglio tempesta, quando è grigio. Onda su onda si avventa verso riva, con quella espressione di forza che non s'acquieta, per un bel po'.
In quel posto ameno, che tanti anni fa era uno spiazzo “belvedere”, c'è ancora una vecchia panchina di cemento, in parte diroccata, che mostra ancora i segni di chi volle porvela: un bracciolo in forma di fascio littorio.
Lei ci veniva spesso a sedersi, verso sera.
Aveva quasi sessant'anni, i capelli e gli occhi grigi, come quando il mare e il cielo sono grigi. E doveva essere stata bionda, per via della pelle chiara. Le rughe del viso e del collo mostravano più le sofferenza che età.
Parlava tra sé e sé, sottovoce, di quella volta che poco più che bambina, venne aggredita e violentata da due militari di colore. Di quelli delle truppe di “liberazione”, che scorrazzavano liberamente e prepotentemente per la provincia.
Ne nacque Azzurra, perché pur con l'epidermide scura, aveva gli occhi azzurri. Non crebbe bene, scappo di casa giovanissima e di lei non si è saputo più nulla.
Lei veniva qui, dove decise il nome, guardando il mare, mentre era incinta. E guardava ancora il mare, in attesa.
Rari gabbiani tentano un'ultima pescata, accompagnando il rovesciarsi delle onde, mentre come ad un segnale, prendono a volare verso il molo e i docks, dove riparano per passar la notte.
Il vento scompiglia i sottili rami pendenti dei tamerici, frusciano le foglie dell'oleandro attraversate dalla brezza, ora si sente meglio il fragore delle onde contro gli scogli, come un sommesso rosario recitato da un gigante.

mercoledì 1 agosto 2012

D'estate, un vestito bianco per Viola


Nella campagna i fiori, a primavera

sono di contraltare al firmamento

brillando di colori fino a sera

fanno della natura un gran portento.

Viene l'estate, com'è naturale

a coronare quella lor funzione

dallo sfiorire a morire al seminare

così paiono bige, smorte, le colline

d' un cielo che si va a rannuvolare.

Ora il giallo delle messi tutto indora

le crete arse sempre esposte al sole

vedono rondini e rondoni volarci a frotte

son bordati di arbusti verdi ripidi fossi

perché bevono la rugiada della notte.

Ansima il falco e fa ombrello al nido

tiene d'occhio però la tana dell'arvicola

pronti gli artigli e subito ci vola

la branca stretta e il piccolo avrà cibo.

Il raccolto, quest'anno, è andato bene

rende più facile far fronte ad ogni cosa

ci saranno denari per fare quella spesa

il vestito bianco di Viola, che va sposa.