lunedì 30 gennaio 2012

Il grido senza suono (sterminio)

Tapparono di silenzio
bocche spalancate dal terrore
mentre il fumo acre delle ciminiere
lunghe canne d'organo infernale
usciva forte con rumor di vento
a denunciare il muto pianto celestiale
d'anime innocenti, zittite per l'orrore.

domenica 29 gennaio 2012

Ascoltanto Cajkovskij

(Adagio, allegro ma non troppo)
Scendere adagio dalla cresta del non fatto
giù per calanchi calcinati o fianchi glabri
dalla vita che frana o dall'eros che stanca
e d'improvviso una ginestra gialla, scoppia
inebriata dal sole ed io raccolgo nei palmi
il calore di te che ultima m'hai lasciato solo.
(allegro vivace)
Raccogliere conchiglie di varie forme
metterle in fila per colore e misura
in una bacheca che soltanto dorme
e si risveglia quando gioventù ritorni
nei tempi in cui correvi a piedi nudi
e il mare sembrava solo sfondo.
(allegro con grazia)
Andare ancor di più nella natura
scegliendo fior da fiore perché odora
farne un fastello e darlo a chi t'onora
dei suoi begli occhi e ai baci s'abbandona
perché gaiezza vuol che sia la vita
ancorché corta oppure appena viva.
(adagio lamentoso)
Ansia patetica quando l'amore soggiace
all'infierire del tempo sul corpo amato
e quando abbandona il tuo perché abusato
quasi non ricordasse più il volo supremo
che ci condusse ad emozioni intense d'intelletto
e la psiche che faceva da paciere.

venerdì 27 gennaio 2012

Basterà la memoria?

Memoria

Non ne abbiamo uccisi, certo
non ne abbiamo salvati, pericoloso
abbiamo chiuso gli occhi, guai vedere
chiuse le orecchie, non ascoltare
poi li abbiamo contati, per sapere
ci siamo scandalizzati, per giudicare.
Poi, pietosamente a discettare
di quel che si poteva o doveva fare
in fondo eravamo al margine, lontani.
Tornasse il vento di morte
cosa siamo pronti a rischiare, a fare?
Non basterà farsi carico di ricordare.

martedì 24 gennaio 2012

"Cantami o diva"

Una melica d'archi sempre mi torna
eppure non la so seguire tutta quanta
causa un vuoto, una mancanza vera
nel bagaglio che mi porto di lontano.
Tante note classiche mi mancano
attengono al sapere tutto tondo
che apprendi il luoghi sacri deputati
non per le strade perse per il mondo.
Ascoltando d'altri, pezzi d'armonia
componi fragili canti flebili lamenti
che lasciano inappagato te per primo
e non dissipa la voglia d'essere preso
sin nel profondo e più completamente.
Musa dammi lo strumento acconcio
che il classico travalichi d'un colpo
l'anima mia travolga, nell'universo affondi
tra le stelle a cercar suoni, intingere canzoni
da declamare con la passione che mi prende e serra
pur sognando sempre di volare oltre
libero dal destino che mi tiene a terra.

domenica 22 gennaio 2012

Le fotografie di Cristina Finotto

sono pensieri fermati con scatti
fissate immagini di malinconia
riflesse da specchi d'acqua dolce cheta.
Alberi spogli spuntano irreali
su argini piatti distesi nel mattino
come braccia e mani e dita scarne esili
esitanti verso l'altro, oltre la foschia
per tentare di afferrare un sereno
più su, dove dev'essere un cielo.

Il peccato

Grumi d'Etna e Falterona
nel sangue mio scorrono fusi
e il morso d'uno l'altro non perdona
che nel fluire intenso sono confusi.
Il meglio c'era da trarne certamente
spenderli nella vita vera in tutti gli usi
seguire l'anima propria più liberamente
amare il bello il buono il disperato.
Cibarsi delle gioie dei dolori della gente
poter dire a chi legge ci sono stato
per viverci insieme anche un solo giorno
che campare per se stessi è già peccato.

giovedì 19 gennaio 2012

Presenza che non viene

Se domina il bianco questa pagina
oggi in questa rissosa solitudine
è per la tua presenza che non viene
quando ho necessità di berti e
mi segna, aspra, l'arsura dell'anima.

Ma vola lontano pensiero mio, ruba
quel sembiante che s'ascende
dalle mie brame troppo assidue, forse
spinose, quanto e più lo son le rose.

Ridammi  tu sogno il suo fiato
all'orecchio portami quella voce
le parole a carezzar la mente
un tocco appena di spoglia glabra
alle mie dita tremanti.

mercoledì 18 gennaio 2012

Mare innocente

È quieto, per lo più
sta disteso nell'azzurro
che gli regala in cielo
i denti sporgenti scheggiati
a fare da scogliera
contro la quale alle volte mugghia
per far vedere quanto nerbo cela.
E quelli, gli scogli appariscenti
aguzzi sporgenti son lì per spaventare
per dare avvertimenti
all'uomo che delle sfide fa bandiera.
Sotto le onde ha quelli più aguzzi
quelli che sono la sua forza vera
quelli che per se stesso sono una barriera
contro gli stolti e la loro sicumera.
“Ab illo tempore” ci pasce l'esistenza
sopporta stupri, laidi rifiuti, non si lagna
nessuno mai ne ha riconoscenza
di lui sempre si canta e spesso si piange
l'abbiamo intorno ed è lontananza.
Così più spesso di quanto non convenga
diventa eroico avello per quanti lealmente
ne fanno campo di speranze umane
e tomba pietosa per chi innocuo lo ritenga.

domenica 15 gennaio 2012

Sono la mia valigia

Sono la mia vecchia valigia
legata per necessità con spago grosso
perché non regge più quella bugia
che raccogliere verità fa il fiato grosso.
Ci ho messo di tutto anche sciocchezze
pensierini di scuola ninnoli ossi di seppia
immagini di famiglia che rubano carezze
quel pezzo di presepe il bimbo nella greppia.
Quando la riapro così senza motivo
senza bisogno solo per curiosità
molte cose ci trovo che riscopro
ma non so più se sono verità.
Fitte stipate oppure alla rinfusa
quella è stata la mia vita poco spesa
per via del fare bene le cose come s'usa.
Tra le pagine di quel libro che non lascio mai
ci son due fiori secchi scoloriti
li poggiarono sul cuore tumultuoso
mi dettero, mi danno, momenti deliziosi, mai sopiti.

sabato 14 gennaio 2012

Una giornata alla volta

Vivo per stancarmi la giornata
essere preso dal sonno senza senno
che i sogni che facevo non han senso
ora che tutto pare in fondo sia passato.

Vuoi mettere il giorno sul mattino
quando il sole ti strizza le pupille
vedi bagliori che sembrano stelle
e l'improvviso buio è già svanito.

Hai reconditi rifugi come tasche ladre
li percorri da solo quando pensi
son brividi spalmati sopra i sensi
emozioni vere non solo cose rare.

E tiri un segno blu sotto quel rigo
chissà non lo dovessi all'uopo ricordare
non hai niente di serio adesso cui pensare
solo a quell'aria fresca di mattino.

Ma è la stagione che si butta al peggio
è cosa che ha da essere non mi lagno
ho buttato da tanto il sasso nello stagno
l'onda in cerchi larghi spinge all'ormeggio. 

giovedì 12 gennaio 2012

Italia Bella Ciao

Ognuno passa prende pesta oltraggia  
perdemmo noi la vista oppure il gusto  
per l'opulenza abbiamo preso in uggia  
vivere semplice, come fa il giusto. 
Più nastri e ninnoli appesi alle orecchie 
di quanti ne reggeva uno robusto 
tutto s'arraffa, anche cose soverchie  
si getta poi la tazza e l'orinale 
son cose appena nate e son già vecchie 
e mai saranno più l'originale. 
Neanche la pietà sta più sulla porta  
nel posto avito ch'è  la cattedrale 
turba imbarazza chi entra e non conforta   
chi sempre da alla chiesa obolo certo   
ha poca voce chi a pensare esorta.
Si paventa un futuro ch'è un deserto 
ma niuno salva l'acero o la quercia         
se sul giardino suo ne sporge un serto     
e se c'è un'essenza aliena, lui falcia.      
Crolla l'argine cade il monte a valle      
la pioggia infiltra muri antichi, squarcia  
segni d'un mondo cui facciamo falle 
che non è nostro e l'abbiamo in prestito.
Nobile madre di genti vassalle.

mercoledì 11 gennaio 2012

Quando il cammello vinse lo slalom speciale

Dice, franano le strade per tre_monti
tutte storie per non far tornare i conti
farsi bello e lasciar debiti a monti
ridi, scherza e finiremo sotto i ponti.

Dan' la colpa a chi fece vita buona
sempre mangia beve balla e suona
all'anagrafe è cieca invalida sorniona
tutta quanta gente laida e accattona.

Mille e mille, anche più ce ne saranno
a fare all'Italia, a pochi ricchi tanto danno
in ginocchio banche aziende chiederanno
eliminare i poveri, tutt'al più li cremeranno.

E' un gran peso portare una pelliccia
mangiare controvoglia pappa e ciccia
bere drink da mille € e sempre alticcia
colare grasso come rorida salsiccia.

Ma come dice il saggio, tienili buoni
son loro che tengono le borse e i cordoni
non rattristiamoli, suvvia piagnucoloni
facciamo finta d'esser felici, son creduloni.

mercoledì 4 gennaio 2012

La vita a spirale

Ruota la vita, spirale che si avvolge
e si svolge attorno al centro
in nuce alle speranze di esistenza
eternamente fragili.
Tenta dipanarsi nel precario equilibrio
delle stagioni dell'anima
prorompenti gravide pacate
e, ad ogni morir dell'anno
si posa fredda sulle opportunità mancate.
E tende nuovamente al centro
che da sempre la trattiene
la rassicura, la difende, la contiene
muro di cinta con le paure dentro
contro il respiro d'una brezza nuova
dolce suadente che dirige addentro
l'egocentrismo smuove, si rinnova.
Ruota la galassia esistenza, ricomincia
spinte potenti sul cuore solo premono
e piano la fascia di difesa s'assottiglia
vibrano i sensi e d'emozione tremano
è una stagione nuova di nuove sensazioni
naviga nello spazio pieno d'abbandoni
che i tempi di quell'ansia molto abbreviano.

lunedì 2 gennaio 2012

L'ironia delle donne

          Timorosa ma non timida. Era stata tirata su in una famiglia povera ma dignitosa, coi cosiddetti principi sani, il rispetto delle gerarchie, della religione, della proprietà, dell'onestà tanto che l'essere poveri o ricchi era una questione di destino, senza pensare che quello toccato loro non lo avevano meritato e accettavano che qualcuno, lassù, aveva deciso così.  Erano tanti in casa, il lavoro del capofamiglia saltuario e stagionale, com'era per i braccianti agricoli di allora. Fortuna che lei aveva fatto tre classi elementari e poté essere mandata a servizio dalla Signora Padrona, dove oltre a stare benissimo aveva l'opportunità di vedere cose “dell'altromondo”. Si portava a casa le riviste patinate destinate al cestino e ci si perdeva, alla poca luce del lume a petrolio, nel guardare e leggere delle belle signore di città. Ritagliava quelle che a suo gusto apparivano brillanti e spregiudicate, per quanto ne potesse sapere di queste cose laggiù in campagna, ma era l'espressione scanzonata delle modelle che l'affascinava e faceva sognare. Sognare si, più che altro. E leggeva, afferrando poco, tutto quello che poteva da quelle riviste. Crebbe così, un po' svagata, sempre con la testa nelle nuvole ma seria e laboriosa, tanto da meritarsi gli apprezzamenti dei vicini. Una che sgobba, dicevano, Ragazze così fanno la fortuna delle famiglie, e via stimando.
              Diciottenne, andò in sposa al garzone del fattore. Un bel giovanottone, gioviale ma con quel difetto che in campagna si chiama “male alle ascelle”: scansafatiche, insomma. Così tra una gravidanza e il continuo lavoro dei campi in soccorso al marito e quelli di casa, dall'alba a notte, si consumava come una candela di sego, ma mostrava sempre una scanzonata voglia di vivere. Era stimolante per i figli, che in dodici anni ne aveva scodellati quattro, così in scala che parevano fatti su misura per passarsi gli abiti smessi senza destare sospetti. Li incitava, maschi e femmine, due e due, ad impegnarsi e leggere tanto.
                Ottenne in regalo dalla Signora Padrona, un sussidiario vecchio e stropicciato che leggeva e faceva leggere loro prima di addormentarsi. Sempre lo stesso testo, dalla prima all'ultima pagina, e poi daccapo. La Signora, in quell'occasione, innocentemente o incoscientemente, visto che lei durante i lavori di pulizia lo strusciava a lungo fantasticandoci su, le regalò uno di quei porcellini di terracotta che nelle famiglie bene, si regalano ai ragazzi per avvezzarli al risparmio. Così si abitueranno a mettere da parte qualche soldino per il futuro, incalzò la gentildonna.
              Una volta a casa lo poggiò sulla madia, indifferente al sarcastico commento del marito circa la possibilità di riempirlo, eppure...ogni tanto... Ma cosa ci metti qui dentro, disse lui un giorno scuotendo il salvadanaio, Ti vedo metterci qualcosa, ma non si sente suonare nulla. Sembra che ci sia della carta, dentro! E lei, ridendo, Ci metto i soldi di carta, anche pezzi grossi, così quando muoio l'aprite e sarete tutti ricchi. Ridacchiarono tutti. Qualche banconota la vedevano passare dalle mani del fattore alle loro e poi a quelle dei creditori, niente di più che qualcuna di piccolo taglio restava dal salario settimanale e non raggiungeva il sabato successivo.
               Lui cadde da una pianta che stava potando e si ruppe la schiena in modo drammatico, tanto che rimase inabile a qualsiasi lavoro davvero remunerativo. Superata la convalescenza a fatica, riuscivano a spostarlo dal letto alla sedia ed ormai la rassegnazione aveva sostituito il dolore per l'accaduto e quando lui si lagnava che per il troppo lavoro si era reso invalido, lei sempre sorridente: Che vuoi di più, adesso puoi lavorare da seduto, come quelli degli uffici, magari potessi io.
Ora intrecciava canestri e cesti con i vimini che lei portava a casa dai campi. L'aveva sostituito in tutti i lavori che gli richiedevano ben sapendo, i committenti, che lui non avrebbe potuto farli e che lei, si accollava ogni peso. Era il pilastro fondamentale della famiglia. Quando riscuoteva il salario, faceva tanti mucchietti per quanti erano le cose da pagare e quello che restava, pochissimo, se lo infilava nella tasca del grembiule, dicendo sommessamente ma in modo che si sentisse, E cento. Invariabilmente sempre, E cento. Neppure i figli più grandicelli riuscirono mai a sorprenderla mentre metteva quel che metteva nel salvadanaio, curiosi di vedere e partecipare, in qualche modo, al rito virtuoso del risparmio e non riuscendoci mai il porcellino prese ad avere del misterioso, ma non azzardavano chiedere di più.
            Il lavoro era faticoso e tanto, lei deperiva ogni giorno ma nessun lamento usciva dalla sua bocca. A sera, durante la magra cena, dividendo il cibo, a voce alta faceva il riassunto degli impegni del giorno dopo, Devo fare qui...Devo andare là...Rammendare i pantaloni del babbo...Mettere una pezza alla suola delle scarpe di Lisa, Mica può andare a scuola con le scarpe sfondate. Poi devo cambiare quella toppa sulla giacca del babbo, il verde chiaro sul velluto verde più scuro, non ci dice...E giù una risata, puntualizzando l'idea buffa della ragazzina con le scarpe bucate e il padre con la giacca a toppe colorate.
                E cominciò anche ad avere un tosse sospetta, di quelle che una volta si diceva di polmoni. Sempre più pallida, occhiaie livide. Venne anche il medico condotto, scuoteva la testa mentre le diceva che non poteva andare avanti così e lei, Dottore come volete che faccia? Datemi qualcosa per tirarmi su, poi a primavera starò meglio, col caldo... Buona donna ci vuole altro, questa è una malattia grave. Ssssstt, non si faccia sentire, cosa vuole spaventare i ragazzi?
               In una bella mattina di aprile, non si svegliò. Pallida ed emaciata, in una rigidità composta aveva una espressione serena, distesa, quasi un sorriso. Dopo le esequie, riuniti in casa, il marito stava leggendo la nota delle spese sostenute e da saldare per le necessità del funerale. Un tot al prete per la funzione, un tanto al necroforo per la bara e l'inumazione, i fiori, le candele... E chi ce l'ha tutti questi soldi? Ci vorrà un anno per metterli insieme ed io con le ceste... Voi, smetterete di andare a scuola e andrete al lavoro, quello che ha lasciato la mamma.
              Papà, disse Lisa, Il salvadanaio. Ah! Già, prendilo.
Quel vecchio porcellino di terracotta fu messo sul tavolo e con un colpo mandato in frantumi. Nessuna moneta, ne uscirono centinaia di fagottini di carta ripiegata cinque sei volte. Non avevano l'aria di banconote, mancava il colore, se ne accorsero subito ma esibirono solo uno sguardo una, espressione interrogativa. Li aprirono uno per uno e Lisa lesse invariabilmente su tutti :
 io sono stata e sono felice, rideteci su.

La bellezza del ritorno

E un bel mattino
l'ultimo
sarò più vecchio e saggio
per poter capire
che se ci fu dolore
nel vivere ogni giorno
e la felicità era solo contorno
è alla bellezza
sempre intravista lampeggiare
nell'estasi di un sogno
o in limine del sonno
che farò ritorno.