Non è una
locuzione mia, pare sia di gergo genovese, usata, prosaicamente, in
psicologia e tradotta nel lessico dialettale di molte regioni in
“cazzate”, “minchiate”, ecc.
Pare ce ne siano,
fondamentalmente, di due specie: quelle positive e quelle negative.
Sono una persona comune,
quindi non posso che esserne succube anch'io, in qualche misura, come
pare lo siano tutti. Parlerò delle mie, naturalmente.
Cominciai a farmele
(non trovo termine più
esaustivo) sin da piccolo, nel considerare andare a scuola, una
assoluta ingiustizia esistenziale. Costrittiva e coercitiva della
libertà personale, inutile sotto l'aspetto pratico, talché
ne fui da subito un frequentatore melenso. Ritenevo che iniziare col
fare il garzone del fornaio, del falegname, del meccanico...ecc.,
fosse il miglior viatico per diventare “grande”, il resto l'avrei
imparando cammin facendo. Poi i calzoni si fecero sempre più
corti, stretti no: te li confezionavano a futura crescenza; e
cominciai a farmi
quella che un mestiere valeva un altro, che le professioni erano
fatte per chi non aveva voglia di sporcarsi le mani o poco coraggio
per ribellarsi ai genitori che costringevano ad andare a scuola. E la
prima volta, sempre colpa delle donne, che affrontai una di un giro
che non era il mio, sbattei il grugno contro un lessico che non
capivo e che lei usava scioltamente e senza farlo pesare. Cavolo! qui
cominciai a farmi la
prima “positiva”: mi misi in testa che era fondamentale essere
colto. Presi a leggere qualsiasi cosa, quasi spasmodicamente, sapete
come quando si dice “leggere anche l'elenco telefonico”,
facendomi una testa tanto, con cognizioni le più disparate,
senza disciplina o finalità specifica. Qualcosa mi restava e
cominciai ad apprezzare il fatto di sapere, qualcosa, almeno. Ma
intanto, senza neanche accorgermene, mi stavo facendo una
di quelle “cattive”. Elucubravo, sempre più, sulla mia
inadeguatezza al consesso sociale, colpevolizzandomi per la mancata
capacità di impegno, condannandomi – senza appello – ad
una mia impossibilità di essere altro da quello che mi trovavo
ad essere al momento: insoddisfatto, sempre. Però sognavo –
e sogno – oh...si! questo si. Era ed è, un farmaco
portentoso e sotto un certo aspetto, poteva e può ancora
essere, una di quelle positive,
visto che inventavo e invento, progettavo e progetto ma, diventava
presto “negativa” dato che prevalentemente, aspettavo accadesse
qualcosa che io, ci risiamo, non trovavo la forza di determinare.
Ora,
credo di farmene una
positiva: scrivo “poesie” e “brevi racconti”, come questo e,
per adesso, godo, come il classico porco.